di Marco Travaglio | 7 Marzo 2019
«Quando c’era da decidere sul gasdotto Tap, i 5Stelle erano contro e la Lega era pro: Conte fece il presidente
del Consiglio e, in base all’analisi giuridica sui costi-benefici,
decise che ormai i rischi di pagare i risarcimenti previsti dal trattato
internazionale erano troppo alti. E decise il sì, per la gioia di
Salvini e la figuraccia di Di Maio, Di Battista&C. che avevano
promesso l’opposto. I 5Stelle, per disciplina di governo, ingoiarono il
rospo e tutti i pesci in faccia made in Salento. Ora la scena si ripete
sul Tav: M5S contro e Lega pro. E Conte rifà il presidente del
Consiglio, analisi costi-benefici economica e giuridica alla mano:
convoca i due litiganti con i rispettivi tecnici (Di Maio e Toninelli si
portano il prof. Ramella, che ha steso l’analisi con Ponti e altri tre
colleghi; Salvini si porta Siri, 1 anno e 8 mesi per bancarotta
fraudolenta) e ascolta le eventuali obiezioni, finora sempre millantate
ma mai messe nero su bianco dalla Lega, alle 80 pagine dei tecnici
governativi. Poi decide: se questi verranno smentiti con dati
attendibili, il Tav si farà; se no, non si farà e i bandi del
costruttore italo-francese Telt andranno bloccati. Anche perché
l’analisi del governo quantifica il mega-spreco di denaro pubblico (2,5
miliardi italiani, più 4,5-5,5 francesi ed europei) e chi non lo
scongiura ne risponde patrimonialmente alla Corte dei conti per danno
erariale.
A quel punto la
Lega ha due sole opzioni: o si uniforma alle decisioni del suo premier
per disciplina di governo, come i 5Stelle sul Tap, e accetta l’idea che
un governo di coalizione non può restare paralizzato su ogni cosa dai
veti incrociati, dunque ora cede un partner e ora cede l’altro; oppure
sfiducia il suo premier e apre la crisi di governo. Così si capisce se
Salvini è sincero, quando dice di voler governare per cinque anni e
rifiuta le avance di B., oppure mente anche su quello. Quando firmò con
Di Maio il Contratto, in cui il M5S aveva preteso di inserire l’impegno a
“ridiscutere integralmente” il Tav, sapeva benissimo che quello per i
suoi partner era un punto dirimente al pari dell’Anticorruzione e del
Reddito di cittadinanza, come per lui il Dl Sicurezza e il Dl Legittima
difesa. Quindi il redde rationem di oggi non è una sorpresa dell’ultima
ora: è uno snodo prevedibile, anzi scontato, che tutti dovevano mettere
in conto, specie dopo il voto pilotato degli iscritti M5S sul processo
Diciotti. Con l’aggiunta della devastante analisi costi-benefici del
governo e della mozione parlamentare approvata da 5Stelle e Lega il 19
febbraio che impegna l’esecutivo a “ridiscutere integralmente” il Tav.
Se sul Tav cadrà il governo, sarà perché l’ha voluto Salvini: e non per
difendere l’opera, che non serve a nessuno, men che meno a lui, ma per
scopi ben più inconfessabili, che è bene far emergere quanto prima. Così
com’è stato un bene che emergesse il tradimento degli intellettuali e
dei media, che sul buco del Tav hanno dato il peggio di sé, a rimorchio
dei loro mandanti politico-affaristici, a colpi di fake news, ipocrisie,
imposture e doppiopesismi. Le collezioni dell’Espresso pullulano di
inchieste ferocissime sull’inutilità dell’opera, da quella di Tommaso
Cerno nel 2013 (“I No Tav sono un intero popolo”, “Tre generazioni
appese al destino di un treno da 300 km l’ora. Nonni, figli e nipoti in
guerra contro un mostro d’acciaio… La Val Susa ha tutta l’aria di
un’italica striscia di Gaza…”) a quella di Giovanni Tizian nel 2016
(“Tav, e intanto si spreca. Le talpe continuano stancamente a scavare.
Ma nessuno crede più a un modello di ‘grande opera’ superato dai fatti. E
dal buon senso”). Poi più nulla. Report di Milena Gabanelli, nel 2011,
mandò un inviato in Val Susa a dimostrare l’inutilità del Tav per
mancanza di merci: “Lo pagheranno – concluse Milena – i nostri figli
disoccupati”. Poi, silenzio anche alla Rai.
Repubblica pubblicava
le inchieste di Luca Rastello sulla grande bufala del Corridoio 5
Lisbona-Kiev (poi raccolte nel saggio Binario morto) e i commenti di
Adriano Sofri sul “Partito Preso, cioè quello che dice ‘ormai non si può
più tornare indietro’ e non spiega mai perché. Il Partito dell’Ormai.
Il Tav è una nuova religione rivelata, fondata su un mistero sacro,
calato dall’alto, quindi indimostrabile ma indiscutibile: il dogma
dell’Immacolata Costruzione”. Ora Repubblica tifa Tav senza se e senza
ma. Sempre nel 2012 ben 360 professori universitari e professionisti
firmarono sul Sole 24 Ore l’appello di Marco Ponti e Sergio Ulgiati al
governo Monti perché, dopo il no alle Olimpiadi di Roma 2020, fosse
altrettanto coraggioso cancellando lo spreco ben più cospicuo del Tav,
citando studi del Politecnico di Milano e di Oxford (“La peggiore
infrastruttura è sempre quella che viene costruita”: studio delle
previsioni sballate su 260 mega-infrastrutture trasportistiche in ben 20
nazioni). Poi, salvo rare eccezioni, tutti zitti. Nel 2013 persino
Renzi, nel libro Oltre la rottamazione, definiva il Tav “investimento
fuori scala e fuori tempo… iniziativa inutile… soldi impiegati male” e
invitava lo Stato a “uscire dalla logica ciclopica delle grandi
infrastrutture e concentrarsi sulla manutenzione delle scuole e delle
strade”, anche per “creare posti di lavoro più stabili”. Ora è Sì Tav.
Nel 2017, su lavoce.info, Carlo Cottarelli firmò un altro appello di
Ponti con 41 professori del Politecnico di Milano contro il Tav perché
“analisi indipendenti… mostrano flussi di traffico, attuali e
prospettici, così modesti da poter escludere che sia opportuno
realizzarla nella forma prevista”. Ora firma addirittura pseudo-analisi
pro Tav. Nel 1927 Julien Benda scrisse un pamphlet sul Tradimento dei
chierici, cioè degli intellettuali. Non aveva ancora visto all’opera i
nostri chierichetti e i nostri sacrestani.»
Cifre.... pareri....! L'unica cosa chiara è che il bene della "Gente", quella di tutti i giorni, e non solo per la vicenda in argomento, non è nei pensieri dell'attuale governance così come non lo è stato con la precedente.
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