Il Caltagiro di Marco Travaglio – il Fatto Quotidiano del 20/06/2019
«Ieri, in
stereofonia, quei due bocciuoli di rosa di Francesco Gaetano Caltagirone
e Matteo Salvini hanno notificato l’ingiunzione di sfratto a Virginia
Raggi. Il primo l’ha fatto con editoriale a tutta prima pagina del suo
Messaggero, dal titolo: “Raggi incapace, Roma muore. Perché la sindaca
deve passare la mano dopo tre anni di non governo”. Il secondo,
sincronizzato al minuto, ha annunciato il programma della Lega per
prendersi Roma con due anni di anticipo sulla scadenza della
sindacatura. Nulla di strano, intendiamoci. La Lega è all’opposizione
della giunta dei 5Stelle, anche se governa con loro a livello nazionale.
E il Messaggero, cioè Caltagirone, è all’opposizione della Raggi fin da
prima che la Raggi fosse eletta. Il 20 marzo 2016, in campagna
elettorale, la candidata M5S aveva detto a Sky che, se eletta, avrebbe
“cambiato il management di Acea, composto da un’accozzaglia di nomi in
gran parte scelti da Caltagirone con il lasciapassare del suo amico
Renzi”. Quattro giorni dopo il Messaggero sparò in prima pagina: “Il
caso Acea. La Raggi parla e i romani perdono 71 milioni. Dopo le
imprudenti dichiarazioni della candidata-sindaco, le azioni Acea
crollano del 4,7%. Bruciati 142 milioni. Il danno maggiore è per il
Campidoglio, azionista al 51%”. Morale: cari romani, non votate per una
tizia che pronuncia “parole demagogiche e irresponsabili”, di cui “non
comprende assolutamente la portata distruttiva”, un’ignorante
“inesperta” che “parla senza rendersi conto dei danni che fa”. Figurarsi
“che succederà se diventerà sindaco”.
Nella fretta, le zelanti penne caltagironiche si scordarono di
indicare i consoci del Comune in Acea: soprattutto il principale, col
15,8%, cioè Caltagirone che pagava loro lo stipendio. Quanto al crollo
del titolo a causa della Raggi, era una fake news. L’intervista fu
domenica 20 (a mercati chiusi) e il calo azionario mercoledì 23:
difficile che in Piazza Affari se ne stiano tre giorni paralizzati a
compulsare le frasi di una candidata prima di organizzare la fuga dal
titolo. Ma soprattutto: il crollo del titolo non costò un euro
(figurarsi 71 o 142 milioni) al Comune né ai “romani”: a meno che
costoro non avessero venduto titoli Acea proprio in quei giorni.
Purtroppo i romani non credettero al Messaggero e plebiscitarono la
Raggi col 67,15%. L’ottavo re di Roma, abituato con gli altri sindaci a
scriversi i piani regolatori a domicilio per riempire la città di
capolavori come le Vele di Tor Vergata, i cantieri della MetroC, i
quartieri-alveare nelle periferie e candidarsi al Premio Attila alla
carriera, si listò a lutto.
Ma le provò tutte per convincere la Raggi a tradire l’impegno
elettorale di ritirare la candidatura alle Olimpiadi 2024. Era chiaro
che, se la sindaca avesse garantito ai palazzinari l’ennesima mangiatoia
a spese nostre, avrebbe avuto cinque anni di buona stampa, anche se
l’avessero beccata a rapinare le banche o a scippare le vecchiette.
Invece la Raggi mantenne la promessa e salvò la città dal default che di
solito segue ai Giochi (vedi Atene, Rio de Janeiro e figurarsi Roma con
i suoi 15 miliardi di debiti). E si attirò addosso un bombardamento
atomico permanente, quotidiano, preconcetto su tutti i media, a
prescindere dai suoi errori (tanti) e dai suoi meriti (pochi). Una
guerra senza quartiere che, se fosse stata ingaggiata prima contro i
sindaci precedenti, avrebbe risparmiato a Roma quasi tutti i suoi guai.
Prima l’assalto all’ottima assessora all’Ambiente Paola Muraro, dipinta
come una Riina in gonnella fino alle dimissioni e poi prosciolta da
tutto. Poi la mostrificazione della stessa Raggi, un giorno Messalina
mangia-uomini, uno corrotta, uno riciclatrice di polizze, uno fascista,
uno comunista, uno vecchia e racchia, sempre colpevole di tutto, anche
dei topi ottuagenari, delle buche secolari, delle piogge autunnali.
La infilarono persino nel dossier prefettizio dei complici di Mafia
Capitale, salvo poi scoprire (e nascondere) che i Casamonica vogliono
farle la pelle per aver demolito i loro villini abusivi, sempre
tollerati dai sindaci bravi e capaci, quelli che avevano consegnato le
chiavi del Campidoglio a Buzzi&Carminati&C. e accumulato 15
miliardi di debiti. La Raggi e la sua giunta hanno colpe enormi: molti
assessori e manager delle municipalizzate scelti male e cambiati come
calzini, ritardi abissali su rifiuti, strade, trasporti, degrado e
periferie. Ma, come sempre accade ai 5Stelle, pàgano i loro pochi
meriti: l’onestà personale e la correttezza amministrativa, i bandi di
gara (prima pressoché sconosciuti) per ogni appalto e iniziativa
pubblica, il freno alla deriva poliziesca salviniana, la lotta agli
affitti non pagati dai compagnucci de sinistra e dai camerati okkupanti
di Casa Pound, il via libera allo stadio della Roma (purtroppo
appannaggio di un concorrente di Caltagirone) ma senza speculazione, il
salvataggio di Atac col concordato preventivo, le battaglie contro la
privatizzazione dell’acqua (meraviglioso ieri, sul Messaggero del socio
Acea, il peana all’“Acea gioiello dai conti floridi, a riprova che la
cura e il controllo dei privati giova anche a chi vorrebbe addirittura
l’acqua pubblica”). Ora infatti tutti, Messaggero in testa, lavorano
indefessi per un bel sindaco leghista anche a Roma, e pretendono che la
Raggi gli liberi la poltrona con due anni d’anticipo perché i
caltagirini han deciso così. Salvini è pronto: non si dà pace che “la
giunta neghi perfino il taser ai vigili come previsto dal Dl Sicurezza”
(ecco cosa manca a Roma: il taser ai vigili!). E annuncia: “Stiamo
lavorando in tutti i quartieri per un programma alternativo. L’obiettivo
è rilanciare la città e confermare anche qui il buon governo della
Lega”. Tipo alla Regione Lombardia o a Legnano, per dire.»