venerdì 29 gennaio 2016

CONTRO LA GUERRA!!!

«Gli riecheggiavano nella mente le parole di Veršinin: L'umanità prima di noi era occupata con le guerre, riempiva la propria esistenza con spedizioni, invasioni, vittorie. Oggi questo è superato, ma ha lasciato un gran vuoto dietro di sé, che per il momento non è colmato; l'umanità è alla ricerca di qualcosa e certamente qualcosa troverà. E si sentì sgomento: quando?».

 

        Simonetta Agnello Hornby,     

            Vento scomposto, Feltrinelli,                             Milano 2010, p. 125

                  (Le parole di Veršinin sono citate da 

                     Anton Čechov, Le tre sorelle)

 

martedì 26 gennaio 2016

DI STRAORDINARIA ATTUALITÀ!!!

«Uomini d'Occidente, nostro malgrado o con la nostra muta complicità, siamo associati all'opera di dominio, sfruttamento e morte dell'imperialismo. Collaboriamo con l'oligarchia dei nostri paesi, Francia, Svizzera, Italia, eccetera, alla distruzione quotidiana di ciò che ci fa esistere in quanto uomini: la coscienza d'identità ontologica di tutti gli esseri umani. Io sono l'altro e l'altro è me. Quando si tortura il minatore cileno, quando suo figlio muore di fame, sono anch'io, come essere umano, a venire colpito. In altre parole, col mio lavoro quotidiano di riproduttore dell'ordine del capitale, sono associato, volontariamente o no, al dominio che questo capitale del centro esercita sui popoli della periferia. La funzionalità mercantile del capitale definisce la mia identità sociale. Il mio lavoro di produttore-riproduttore, il mio ruolo di consumatore rendono la razionalità mercantile operativa, ne assicurano la permanenza, avallano il suo potere sugli esseri e le cose. L'altro diventa il nemico. E in questo stesso movimento io lo raggiungo nella schiavitù di cui diveniamo insieme i docili gestori. (...) Dal fronte del rifiuto che sta nascendo dipenderà la vittoria nella lotta contro il flagello universale che è oggi l'imperialismo. Questo fronte chiede d'essere definito, conosciuto. Non può esserlo in termini di bisogni materiali. Questo invisibile partito della rivoluzione, questa fratellanza senza volto dei partigiani della rottura, riunisce oggi tutti gli uomini, d'Occidente, Oriente, del Sud e del Nord, di qualunque reddito, nazionalità o razza, che non tollerano più l'unità negativa del mondo, cioè un ordine che dà come naturali, universali e necessari, l'accumulazione e la ricchezza in rapido aumento di alcuni e il deperimento continuo dei più.»

           Jean Ziegler, Le mani sull'Africa, trad. it.,
    Mondadori, Milano 1979, Introduzione, pp. 17-18

 

lunedì 25 gennaio 2016

GLI «INDECENTI ALLEATI DEL PAPPA-GALLETTO MEDICEO»!!!

IERI (23 SETTEMBRE 2010), PER «SG-RONDOLINO & C.» QUESTI ERANO APPUNTO «INDECENTI»!... OGGI, ALMENO UNO DEI DUE È UNA «FEDELE STAMPELLA» DI UN «GOVERNO INDECENTE»!!! NON V'È DUBBIO: L'ILLUSTRE PADRE FONDATORE DE «l'Unità» SI STARÀ VOLTANDO E RIVOLTANDO NELLA TOMBA!

 

venerdì 22 gennaio 2016

martedì 19 gennaio 2016

I tre giorni del Condor (Usa 1975) di Sydney Pollack - Sequenza finale

New York, Manhattan, metà anni Settanta. Un commando di sicari, guidato da un killer professionista di nome Joubert (Max von Sydow), irrompe nell'ufficio di una sezione della CIA impegnato in operazioni di OSINT (acronimo delle parole inglesi Open Source INTelligence, è l'attività di raccolta di informazioni mediante la consultazione di fonti di pubblico accesso: si legge e studia attentamente tutto ciò che viene pubblicato a livello mondiale - oggi, ovviamente, compreso quanto appare sul Web - , sulle tracce di individui e gruppi sospetti o pericolosi, trame nascoste, codici segreti...), e fa strage di tutti i presenti. Alla carneficina sfugge però fortuitamente il giovane e brillante Joseph Turner (Robert Redford), nome in codice "Condor": è sceso a comprare la colazione per sé e i suoi colleghi. Scoperto l'eccidio, e sentendosi in grave pericolo (oltretutto sa bene di non potersi fidare di nessuno!), dopo aver vanamente cercato spiegazioni e protezione presso la sede centrale, nella persona del vicedirettore Higgins (Cliff Robertson), Condor, pur disperato, fa una mossa genialmente lucida: sequestra e si rifugia in casa di una perfetta sconosciuta, Kathy Hale (Faye Dunaway). Dopo l'iniziale, più che comprensibile diffidenza, la donna lo aiuterà attivamente a dipanare i fili di quello che si dice “uno sporco complotto”: per assicurarsi il controllo del petrolio, una sezione “deviata” interna alla CIA, capeggiata dall'alto funzionario Atwood, aveva pianificato di far scoppiare una guerra in Medio Oriente, ciò che proprio un dettagliato rapporto di Condor aveva involontariamente smascherato. Così, mentre una parte della CIA (Atwood in testa) aveva assoldato il killer "indipendente" Joubert per eliminare drasticamente ogni possibile collegamento con i responsabili del complotto, viceversa un'altra, per individuarli, aveva non meno cinicamente usato il sopravvissuto Condor come bersaglio mobile.
L'opera, ottimo adattamento dal romanzo “I sei giorni del Condor” (1974) di James Grady, che l'ha anche “sceneggiato”, combina abilmente due “generi cinematografici”, “spionaggio” e “thriller”, ma li supera entrambi ergendosi ad esemplare “parabola politica”. Al centro della vicenda narrata resta infatti la possibilità - tutt'altro che peregrina! - che i servizi segreti, o una parte di essi, sottraendosi ad ogni controllo “democratico”, prendano ad agire secondo finalità e con mezzi “scorretti”, o comunque “non approvati”. Il film ebbe un grande successo, non solo perché magistralmente confezionato da Sydney Pollack e splendidamente interpretato da tre attori che all'epoca erano sulla cresta dell'onda, ma anche e soprattutto perché fu realizzato in un periodo nel quale in buona parte dell'opinione pubblica americana e più in generale occidentale dominava un forte sentimento di avversità nei confronti dell'aggressiva politica estera USA - eclatante la sua massiccia ingerenza in America Latina, di cui il cruento Golpe del 1973 in Cile fu solo un esempio! - nonché delle subdole manipolazioni dell'informazione da parte dell'establishment. Va tenuto ben presente, infatti, che esso uscì nel 1975, in un momento di profonda disillusione dell'americano “medio”, il quale, se proprio in quell'anno assisteva amaramente alla umiliante uscita di scena degli USA dalla terribile guerra in Vietnam, appena un anno prima aveva vissuto il terremoto politico conseguente allo Scandalo Watergate, che aveva travolto l'amministrazione Nixon.
Quella che qui proponiamo è la sequenza finale, in cui un Turner/Condor (momentaneamente!) fuori pericolo va ad un incontro col vicedirettore Higgins, e gli chiede ulteriori spiegazioni circa le ragioni di quanto successo e le prospettive del piano/complotto CIA (qui la “Compagnia”), apparentemente 'abortito'. Il dialogo fra i due merita la massima attenzione, in quanto rappresenta in modo emblematico DUE VISIONI DEL MONDO DECISAMENTE CONTRAPPOSTE E INCONCILIABILI: QUELLA DEI «CITTADINI CONSAPEVOLI», CHE RIVENDICANO CON FORZA IL «DIRITTO DI PARTECIPARE DEMOCRATICAMENTE» ALLE SCELTE FONDAMENTALI IN AMBITO SOCIO-POLITICO ED ECONOMICO, E QUELLA DI «TALUNI APPARATI DI POTERE», I QUALI, NASCONDENDOSI DIETRO LA SCUSA DI PERSEGUIRE IL «BENE COMUNE», IN REALTÀ È «NELL'INTERESSE DI POCHI», E «SULLA PELLE DI TUTTI», CHE FANNO I LORO «SPORCHI GIOCHI E SANGUINOSI ESPERIMENTI DI CARATTERE SOCIO-POLITICO ED ECONOMICO»!

martedì 12 gennaio 2016

L'invenzione del COMPLOTTO (da tommix)

Il video che qui presentiamo, del maggio 2014, è incentrato su una questione cruciale dei tempi che stiamo vivendo: la questione del POTERE dei MASS MEDIA, ossia di quei MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA che dovrebbero, 'in linea di principio', aiutare ogni singolo INDIVIDUO SOCIALE ad orientarsi nella REALTÀ delle SOCIETÀ COMPLESSE in cui è inserito. Ebbene, con una serie di precise argomentazioni e di fondati esempi, il filmato ci mostra come questi ONNIPERVASIVI APPARATI, OGGI "PERICOLOSAMENTE" CONCENTRATI NELLE MANI DI POCHI, nei fatti tendano piuttosto ad INFLUENZARE E MANIPOLARE GLI INDIVIDUI SOCIALI, E CIÒ PER I «"PARTICOLARISTICI" INTERESSI DI POTERE E DI PROFITTO» DI COLORO STESSI CHE NE DETENGONO IL «MONOPOLIO». Al soldo di questi ultimi, UNO STUOLO DI "SERVIZIEVOLI PROFESSIONISTI DELL'INFORMAZIONE» PRONTI, IN OGNI MODO E MANIERA, AD ACCUSARE DI «COMPLOTTISMO» CHIUNQUE SI LEVI A METTERE IN DISCUSSIONE LE LORO «COSTRUZIONI MEDIATICHE», SPACCIATE PER AUTOREVOLI "VERITÀ UFFICIALI"!

martedì 5 gennaio 2016

'Gli anni in tasca' (1976) di François Truffaut - 'Apologo' del maestro

François Truffaut (Parigi, 6 febbraio 1932 - Neuilly-sur-Seine, 21 ottobre 1984) può essere senz'altro annoverato fra i grandi protagonisti della storia del cinema. Regista, sceneggiatore, produttore e attore, prima di esordire “dietro la macchina da presa” esercitò il proprio 'amore assoluto' per la settima arte in qualità di brillante critico cinematografico, un destino condiviso con gli amici e colleghi Jean-Luc Godard, Claude Chabrol, Eric Rohmer e Jacques Rivette. I cinque costituiranno il nucleo fondamentale dei celeberrimi «Cahiers du cinéma», l'autorevole rivista fondata nel 1951 da André Bazin, un critico ‘totale’ e teorico geniale (seppure ‘non sistematico’), instancabile animatore nonché nume tutelare della maggior parte delle iniziative volte allo svecchiamento della cultura cinematografica francese del dopoguerra. Schematizzando necessariamente molto, sotto la sua sapiente guida Truffaut e gli altri ‘giovani critici’ svilupperanno sulle pagine dei «Cahiers», nel corso degli anni '50, la cosiddetta “Politica degli autori”, ossia la valorizzazione, in ambito cinematografico, della nozione appunto di “autore”: al di là della superficie convenzionale imposta ai film dall’organizzazione industriale del cinema, un “regista”, al pari di un romanziere, un musicista o un pittore, è una personalità artistica autentica e riconoscibile, il creatore di un linguaggio personale e di uno stile che sono espressione di una precisa e originale concezione del mondo. È da questa vera e propria 'fucina di idee innovative' (risultato anche dell'assidua frequentazione dei cine-club del quartiere latino e della «Cinématèque française» fondata e diretta da Henry Langlois, altro importantissimo animatore culturale dell’epoca) che prenderà vita la cosiddetta “nouvelle vague” (alla lettera: "nuova ondata"), la quale, 'metabolizzate' le migliori opere dei grandi del passato (comprese quelle della gloriosa stagione del Neorealismo italiano appena trascorsa), segnerà ‘convenzionalmente’ la nascita del “cinema moderno”, ispirando di lì a poco tutta una fioritura di ”nouvelles vagues” a livello internazionale.
Tra la fine degli anni '50 e i primi anni '60, i 'giovani critici' esordiscono tutti nel lungometraggio. Truffaut nel 1959, con il magnifico “I quattrocento colpi”, film invitato a rappresentare la Francia al Festival di Cannes, ove ottiene, fra l'altro, il “Grand prix de la mise en scène” (nozione fondamentale, questa della “messa in scena”, 'desunta' da André Bazin e 'declinata' dai cinque in modi diversi). Dedicata alla memoria dello stesso Bazin (che praticamente aveva 'adottato' Truffaut, colmandone le carenze affettive e salvandolo da una gioventù alquanto problematica!), l’opera, un vero e proprio 'poema' sulla solitudine di un adolescente che sconta nell’angoscia l’indifferenza e l’ingiustizia di un mondo di adulti incapaci di comprenderlo e di aiutarlo, è il 'primo episodio' di un ciclo di cinque film che racconta la tormentata iniziazione all’età adulta di un “personaggio” davvero unico nella storia del cinema, Antoine Doinel, affidato sempre allo stesso interprete, Jean-Pierre Léaud. Sia Truffaut che Doinel sono figli di matrimoni senza amore, e scontano perciò un'infanzia e un'adolescenza difficili e turbolente. Così, se appare ben comprensibile che “l’autobiografia come progetto estetico e il tema dell'educazione” siano 'componenti strutturali' del cinema del nostro, e torneranno quindi in un modo o nell'altro in tutti i suoi capolavori, è addirittura 'sintomatico' che esse riemergano in particolare ne “Il ragazzo selvaggio” (1969) e ne “Gli anni in tasca”(1976), film consacrati ancora una volta all'infanzia e all'adolescenza («Non si finisce mai con l’infanzia, come non si finisce mai con le storie d’amore!», soleva ripetere il regista), anche se ora viste, rispettivamente, con gli occhi “da padre” e con quelli “da nonno”.
Proprio dal 'pre-finale' de “Gli anni in tasca” è tratta la sequenza, davvero memorabile, che qui proponiamo. Truffaut, che col suo 'sguardo profondamente empatico' si è estremamente divertito a “mettere in scena” una moltitudine di vivaci bambini e ragazzini, e che nelle vicissitudini di Julien ha 'ritrovato' persino “i tormenti del primo Doinel”, sembra inserire nello splendido, appassionato 'apologo' del maestro Richet - specie quando questi invita gli scolaretti non ad 'indurirsi', bensì a 'fortificarsi' - un personalissimo riflesso autobiografico e ‘pedagogico’!

sabato 2 gennaio 2016

Finche c'è Guerra c'è Speranza (1974) di Alberto Sordi - Sequenza finale [engl subtitles]

Alberto Sordi (Roma, 15 giugno 1920 - Roma, 24 febbraio 2003), “Albertone” per il grande pubblico, non ha certo bisogno di presentazioni: per lui parla, eccome!, la miriade di film spessissimo interpretati da protagonista, e sempre con “superba versatilità”. E si tratta di film che, in buona parte, hanno dato un contributo decisivo alla storia del cinema italiano. Qui ci possiamo perciò accontentare di rendergli fugacemente un triplice omaggio: alla sua “romanità”, che lo colloca all'altezza di una Anna Magnani e di un Aldo Fabrizi; alla sua “inconfondibile maschera”, che insieme (e a volte a fianco, sullo stesso set) a quelle di Vittorio De Sica, Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi e Nino Manfredi ha dato un apporto fondamentale a quell'originale 'genere cinematografico' nostrano che è stata la “commedia all'italiana”; alla sua “straordinaria popolarità”, definitivamente consacrata quando, a partire dal 1979, collaborò con Giancarlo Governi alla realizzazione della celebre trasmissione televisiva “Storia di un italiano”, nella quale, attraverso una selezione tematica di spezzoni dei suoi innumerevoli film, si tratteggiava mirabilmente il 'carattere' di un certo 'italiano medio', coi suoi (pochi) pregi e i suoi (molti) difetti.
Oltre ad essere stato un ottimo doppiatore e un brillante sceneggiatore, Albertone si è cimentato anche con la regia, dirigendo (e naturalmente interpretando) una ventina di pellicole dagli esiti, va detto, non sempre felici. Decisamente riuscita, in ogni caso, è senz'altro una “commedia amara” del 1974, “Finché c'è guerra c'è speranza”, che potremmo sottotitolare: “Avventure e disavventure di un «mercante di morte»”. Partito da zero, il commerciante internazionale di armi Pietro Chiocca, anche grazie ad una serie di operazioni spericolate quanto spregiudicate (e spesso illecite!), è ormai all'apice della carriera, quando un clamoroso editoriale del “Corriere della sera” lo espone non soltanto alla (ipocrita) riprovazione pubblica, ma anche a quella (non meno ipocrita!) della sua famiglia (che vive alla grande proprio grazie ai suoi sporchi traffici!), ciò che lo tocca davvero nel profondo. Tutto 's'aggiusta'. Come splendidamente viene rimarcato nella sequenza finale che qui presentiamo, dinanzi alla sua ferma minaccia di 'auto-dimettersi' lo sdegno dei congiunti svanisce come neve al sole!
Quasi superfluo sottolineare la «stringente attualità» del tema GUERRA, con tutto il suo portato, in primis, di “destino tragico e atroce per molti”, e viceversa, di “occasione di incredibile quanto spregevole arricchimento per pochi”. Tuttavia, al di là delle “materie specialistiche appannaggio di studiosi, analisti e strateghi” (ad es.: il dato di fatto che in regime di CAPITALISMO PREDATORIO in via di GLOBALIZZAZIONE paiono agevolmente acuirsi le controversie geo-politiche, la frenetica corsa all'accaparramento di risorse energetiche, materie prime e BENI COMUNI come acqua e terra, la necessità di smaltire armamenti più o meno obsoleti nel mentre ne vengono prodotti a ritmo più o meno forsennato sempre di nuovi, i clamorosi fallimenti delle diplomazie che finiscono in genere, inevitabilmente, per lasciare l'ultima parola alle bombe, le micidiali crisi economico-finanziarie che sovente sembrano cinicamente trovare nei conflitti armati la più agevole delle vie d'uscita, la volontà, a dir poco discutibile, di «esportare la - spesso 'presunta'! - democrazia»...), al di là delle “variazioni tutt'altro che indifferenti degli scenari-teatri di guerra” (l'altro ieri lontani, pressoché confinati nel c.d. Terzo Mondo, ieri piuttosto ravvicinati, ad es. nella ex Jugoslavia, OGGI QUASI OVUNQUE!), a noi preme soprattutto tornare a porre con forza la QUESTIONE DELLE QUESTIONI, esemplarmente sollevata nella sequenza in oggetto: «CHI», IN ULTIMA ANALISI, È «RESPONSABILE DELLE GUERRE»?!? Una risposta, VINCOLANTE PER NOI TUTTI, NESSUNO ESCLUSO!, l'ha data 'indirettamente' quanto 'polemicamente' il grande storico Franco Cardini, e noi chiudiamo volentieri con lui: «Non si può sul serio marciare per la pace mentre il nostro motorino, la nostra maglietta, le nostre scarpe, i soldi che abbiamo in tasca, marciano invece compatti per la guerra.»