È più che evidente che AMERIKA FIRST va cercando in giro per il mondo
pretesti per tornare a pompare nuova linfa nel suo IMPALLIDITO PIGLIO
IMPERIALISTA. Del resto, la nomina di ben tre generali alla Difesa e
l'intenzione di stanziare massicci fondi per l'industria bellica erano
già, in tal senso, piuttosto eloquenti. E così, usando 'tranquillamente'
(per modo di dire!) una metafora tratta dalla medicina, possiamo dire
che il nostro pianeta, tanto più in quanto pessimamente globalizzato, mostra oggi
tutti i segni di una grave malattia, a cominciare da quel sintomo che
risulta spesso particolarmente decisivo: «una fortissima febbre».
Questa, salta agli occhi, si registra intanto sul fronte delle sempre
più turbolente relazioni internazionali, dove ad alzare
parossisticamente la temperatura figurano soprattutto, appunto, le
smanie di protagonismo bellicista di «America First», ormai a cadenza
quotidiana (vedi l'attacco alla Libia, la «madre di tutte le bombe»
appena sganciata sull'Afghanistan, le frasi minacciose rivolte alla
Corea del Nord). Che i governi, specie quelli in «palesi difficoltà
interne», facciano volentieri soffiare venti di guerra e rilancino il
riarmo, con l'eplicita intenzione di incanalare pulsioni e tensioni di
massa verso «il nemico esterno di turno», è un dato scontato cui la
Storia dovrebbe ormai averci abituato e (almeno in buona parte)
vaccinato. Invece, a ben guardare, non è affatto così, purtroppo. La
maggioranza delle persone nel mondo non appare affatto consapevolmente
acculturata e informata, né, conseguentemente, dotata di 'strumentario
critico', l'unico che la metterebbe in grado di districarsi nella
problematica complessità dell'esistente. E questo ci sembra valga
vieppiù per quell'«America Profonda», inquietamente rabbiosa e
rancorosa, che ciclicamente torna ad affidarsi ciecamente a
«paternalistici comandanti in capo», senza rendersi minimamente conto
del «grumo di potentati e interessi» che, non certo a caso, li ha di
volta in volta più che volentieri 'sponsorizzati'. Emblematico, in
quest'ottica, l'altro versante in cui sul pianeta si registra un non
meno allarmante (e stavolta 'letterale') innalzamento della temperatura:
quel «riscaldamento globale dell'ambiente» dovuto alle nostre «attività
antropiche», e più precisamente ad un «modello di sviluppo
socio-economico fortemente inquinante ed energivoro», che mette in grave
pericolo la stessa sopravvivenza della specie umana. Da sottolineare
che tale pericolo è stato scientificamente denunciato fin dal 1972,
quando il Club di Roma pubblicò il denso e accurato Rapporto sui limiti
dello sviluppo (commissionato al MIT), poi ciclicamente aggiornato, e
che da allora, pur fra indiscutibili passi avanti nello «sviluppo delle
energie rinnovabili» e quindi nella tutela ambientale, il 'nocciolo
duro' del problema è ancora sul tappeto. Ebbene: è una pura coincidenza
il fatto che anche in ordine a tale cruciale questione, affrontabile
efficacemente - si badi bene - solo con un «coordinamento globale fra
tutti gli Stati», sia proprio «America First» a remare vigorosamente
controcorrente, tornando addirittura alla risorsa più inquinante in
assoluto, il carbone, e stracciando il recente «Accordo di Parigi»? Ed è
accettabile che faccia ciò proprio la nazione che manifesta il più
elevato livello di «impronta ecologica» e il maggior consumo/dispendio di risorse
al mondo? Davvero essa pensa di regredire di alcuni decenni, e
precisamente all'epoca in cui Ronald Reagan annunciava arrogantemente:
“il tenore di vita del popolo americano non è negoziabile”? Veramente si
pensa di continuare a raccontare menzogne alla 'pancia' del popolo
americano, lasciandolo nell'ignoranza riguardo al fatto, ad esempio, che
la crisi in cui è immerso non dipenda affatto dal 'fato', bensì da quelle
«devastanti politiche neoliberiste» promosse aggressivamente dalle sue
stesse «élites predatorie» dappertutto; o al fatto, ad esempio, che i
limiti alla folle ideologia della «crescita infinita» risiedano
inevitabilmente nelle stesse «limitate risorse del pianeta Terra»?
Da rimarcare, in rapporto a tutte le fondamentali problematiche qui sollevate, il ruolo dei Media Mainstream e, in particolare, della «televisione-spettacolo» (della quale come noto è stato un 'campione' lo stesso Trump!), i cui nefasti effetti negli USA (ampiamente 'esportati e diffusi' per ogni dove), in uno studio ormai 'classico, 'venivano così riassunti: “(...) gli americani sono i più intrattenuti e i meno informati fra tutti i popoli del mondo” (Neil Postman, Divertirsi da morire. Il discorso pubblico nell’era dello spettacolo, trad. it., Venezia, Marsilio 2002 (ediz. orig. 1985), p. 129). Ma noi restiamo ottimisti. Noi sappiamo che moltissimi americani (come del resto moltissimi altri cittadini del mondo) non si lasceranno stritolare all'interno della sconfortante, orribile 'falsa alternativa', dinanzi alla quale vorrebbero porli i loro stessi «governi dell'azzardo»: catastrofe «nucleare» globale o catastrofe «ambientale» globale?
Da rimarcare, in rapporto a tutte le fondamentali problematiche qui sollevate, il ruolo dei Media Mainstream e, in particolare, della «televisione-spettacolo» (della quale come noto è stato un 'campione' lo stesso Trump!), i cui nefasti effetti negli USA (ampiamente 'esportati e diffusi' per ogni dove), in uno studio ormai 'classico, 'venivano così riassunti: “(...) gli americani sono i più intrattenuti e i meno informati fra tutti i popoli del mondo” (Neil Postman, Divertirsi da morire. Il discorso pubblico nell’era dello spettacolo, trad. it., Venezia, Marsilio 2002 (ediz. orig. 1985), p. 129). Ma noi restiamo ottimisti. Noi sappiamo che moltissimi americani (come del resto moltissimi altri cittadini del mondo) non si lasceranno stritolare all'interno della sconfortante, orribile 'falsa alternativa', dinanzi alla quale vorrebbero porli i loro stessi «governi dell'azzardo»: catastrofe «nucleare» globale o catastrofe «ambientale» globale?
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